E così, finalmente si riparte. Conto alla rovescia, mani alzate, muscoli pronti e volti tesi, anche dietro le mascherine. Una liberazione, per tutti. Passare sotto la Partenza ha avuto per me un effetto catartico. Liberatorio, appunto. Erano mesi che non indossavo un pettorale. Mesi in cui, come molti altri runners immagino, mi sono inventato ogni sorta di “gara” da fare in solitaria, pur di tenere attivi i muscoli e soprattutto la mente: mezze maratone, 10.000 mt e 5.000 in pista. Ma finalmente, ci siamo, piano piano, come è giusto, ma ripartiamo.
La gara
Scarperia – SanPiero, Mugello.
Forse piove. O forse no. L’aria comunque è umida, vien da berla. Ritiro dei pettorali, corsetta di riscaldamento insieme a Luca, senza esagerare, giusto per scaldare i muscoli e raffreddare il cervello. Ci uniamo, tutti insieme, nel brusio delle chiacchiere, che allenta le tensioni e ti prepara psicologicamente alla gara. Tutti uniti insomma in quella consolidata routine del pre-gara che ti da’ calore e conforto, come una coperta in una domenica d’autunno, mentre fuori piove.
9,15 si parte e si parte a fiamma, non poteva essere altrimenti oggi. Prendo subito il passo giusto, lo mantengo per il primo chilometro, sto bene, le gambe girano come devono. Poi iniziano le salite. E le discese. E ancora salite e discese, a ripetizione, fino a metà gara. Fino al ristoro di Scarperia, sarà così. Uno spacca gambe micidiale, insomma. Ma la gara te la giochi in questa prima parte: se la gamba ce l’hai e reggi bene ai cambi di ritmo, poi non ti ritrovi con i quadricipiti spappolati nella seconda parte, dove c’è da tirare il collo al diavolo.
Entro dentro Scarperia dicevo, c’è il ristoro ma decido di saltarlo, sto bene, ho un pò sete ma pazienza, berrò all’arrivo. Dopo un falsopiano in discesa usciamo da Scarperia, e ricominciano i saliscendi, terribili a questo punto della gara. L’ultima salita poi è bastarda proprio, la vedi srotolarsi tutta, lunga, bianca e bellissima in mezzo al verde dei campi che la circondano. Purtroppo siam qui per correre e non a fare delle fotografie. Si stringono i denti e andare, mancano poco più di tre chilometri. Cerco di non arrivare in cima sfinito, la affronto con un buon passo ma senza esagerare, tengo il cuore sotto stretta osservazione mentre salgo, devo arrivare alla vetta pronto a ripartire come un daino, che ci aspettano tremila metri in cui le gambe devono frullare, frullare e ancora frullare, come si fosse all’inizio.
E andrà cosi. Mi butto nelle discese che ci separano da San Piero, raschiando il barile e dando fondo a tutto quello che mi è rimasto da spendere. C’è un gruppetto di runner – due ragazze e due ragazzi – coi quali ci siamo sorpassati a vicenda per tutta la gara, adesso loro sono avanti, una ventina di metri, provo a raggiungerli ma è dura, ho le gambe un pò stanche e il cuore moooolto alto adesso.
Ultimo chilometro, io adoro l’ultimo chilometro…posso riprenderli . No, DEVO riprenderli, perdio. Perchè? Boh, perchè è così, punto e basta. Continuo a correre, accelero, i polmoni scoppiano, il cuore pure, ma le gambe incredibilmente vengono dietro a quanto ordina, perentorio, il cervello.
Sul ponte di San Piero, 500 metri all’arrivo, li raggiungo e infine li supero e ormai non mi riprendono più. Gli ultimi centro metri non li ricordo nemmeno, probabile abbia pure esultato al traguardo.
Finisco in un’ora e sette secondi, a una media di 4,24/km. Sono contento.
Mi viene a salutare Antonio Lista, l’organizzatore della gara, io borbotto qualcosa, sorrido credo, ma ancora non connetto, ho dato tutto, onorando questa bella e durissima gara.
Finisco come sempre ringraziando tutti i volontari, sparsi lungo tutto il percorso a controllare, rifocillare e incitare tutti gli atleti. Stupendi, semplicemente.
Enrico Paoli